Un musicista, un produttore… Un pomeriggio in un pub: Quattro chiacchiere con Massimo Vecchi

Nella mia, finora, breve esperienza come recensore, articolista, intervistatore, come collaboratore di redazione, appassionato di musica o semplice aspirante giornalista, qualsiasi definizione tra queste va bene, mai mi sarei aspettato che dal nulla mi venisse proposto di intervistare nientemeno che Massimo Vecchi, bassista e seconda voce solista dei Nomadi.

L’ambientazione era perfetta: un pub per rockettari nella periferia milanese, un pomeriggio di fine gennaio, le quattro del pomeriggio, il locale ancora deserto, musica hard-rock e heavy-metal in sottofondo, un registratore…

E questo è il resoconto di questa intervista, divenuta subito un’amichevole chiacchierata:

Io: Vorrei cominciare questa intervista, dalla classica domanda di rito: Sono quasi vent’anni, per te, di carriera con i Nomadi. Spulciando la biografia artistica del gruppo, quello che si nota subito è che tu, hai inziato a far parte del gruppo, dal 6 Gennaio del 1998, è esatto?

Massimo: Esatto.

Io: Il tuo ingresso nei Nomadi, è avvenuto in un periodo che potremmo definire “buio” per la storia del gruppo, un momento ancora delicato, dove ancora era aperta la ferita per la scomparsa di Augusto Daolio, storica voce del gruppo…

Massimo: … E di Dante Pegreffi, bassista.

L’entrata di Danilo Sacco come nuovo cantante e anche chitarrista del gruppo…

E in più considera che avevano già, a quel punto, due cantanti. C’erano Danilo Sacco e Francesco Gualerzi (sassofonista) che si alternavano alla voce e come polistrumentisti.

Che se non ricordo male ha abbandonato quasi subito la formazione?

Dopo soli 5 anni, insieme alla bassista Elisa Minari, che era entrata anche lei nei Nomadi cinque anni prima insieme a Gualerzi, come sustituta di Dante Pregreffi.

Due colpi belli tosti per il gruppo. Nello stesso anno…

Nello stesso anno, infatti è stato un anno (1992) piuttosto maledetto per i Nomadi. E niente… Per quanto mi riguarda, se vuoi, posso raccontarti un aneddoto sul mio ingresso nella band… All’epoca, suonavo praticamente con tre gruppi della zona, uno dove facevo pezzi miei, inediti e gli altri due con cui facevamo cover; era anche un’epoca in cui in Emilia c’era una grande possibilità di suonare nei locali, spesso… Io avevo notato che c’era un amico in comune con i Nomadi che veniva spesso, in compagnia di Elisa Minari, ad ascoltarci nei locali… Quindi presumo, perché non ho mai approfondito, il contatto l’abbiamo dato loro ai Nomadi. Mi ricordo benissimo che era il giorno mio compleanno, il 30 Dicembre del 1997…

Un bel regalo di compleanno presumo stai per raccontarci?

Già (risata). Stavo preparando l’attrezzatura per suonare in un club in provincia di Reggio-Emilia, quando arriva mio padre, all’epoca ancora i cellulari non erano così diffusi, e mi dice: “C’è un certo Cico che ti cerca e ha telefonato a casa.” e mi lascia questo numero di cellulare. Aneddoto particolare, nella compagnia di amici, c’era un ragazzo che noi chiamavamo Cico, quindi pensavo fosse lui a cercarmi, anche se ero convinto che il cellulare non lo avesse. Quindi chiamo direttamente dal telefono fisso del locale e mi risponde questo Cico che mi dice: “Ciao sono Cico. Senti, li conosci i Nomadi?”. Tu puoi ben capire che per poco non lo insulto (ridendo)“Cazzo stai dicendo, certo che li conosco i Nomadi”, insomma, per farla breve, mi dice sai abbiamo una segnalazione, so che canti e suoni il basso, noi stiamo cercando una soluzione di questo tipo per il gruppo, poi mi spiega il perché, io gli rispondo che stavo per iniziare un concerto nel locale e lui mi risponde “Sono a Pordenone, se riesco ad arrivare in tempo, vengo a sentirti.”. Classica storia, finisco il concerto e loro entrano dalla porta…

Che tempismo.

Perfetto… Sempre all’epoca poi si usavano ancora le musicassette, io avevo registrato alcune cose e gli lascio queste cassette. Mi ricontattano dopo qualche giorno e mi chiedono se voglio provare a suonare qualcosa con loro. Nenache a farlo apposta, avevo la mia sala prove di riferimento a Novellara…

Direttamente nel quartier generale dei Nomadi.

Esattamente… Per cui ci troviamo, suoniamo qualcosa insieme, mi invitano il giorno dopo ad andare nel loro studio a Viadana, successivamente si sarebbero trasferiti a Reggio-Emilia, faccio una seconda audizione lì, parlo con Beppe (Carletti) parlo con Cico (Falzone) parlo con tutto il gruppo e mi dicono “Nel giro di poco ti facciamo sapere.”. Ti sottolineo di nuovo questa storia dei cellulari… Giusto il tempo di andare da Viadana a Reggio-Emilia, circa un’oretta, arrivo a casa e mia madre mi dice:“Ti ha cercato un certo Beppe.”, richiamo dal telefono di casa e Beppe, dopo aver risposto, mi dice: “Senti, noi avremmo già deciso, se ti interessa montar su con noi, sei dei Nostri. L’importante è che ti compri un cellullare già domani mattina perché mi son rotto le balle di chiamare mamme, nonne, zie e cugine per trovarti.” (risata). La mia storia è stata quella, per cui sono entrato nel gruppo, ho cominciato a suonare con loro ed è così partita la mia avventura con i Nomadi.

E quello è stato anche il periodo in cui nei Nomadi, la voce solista era quella di Danilo Sacco, come abbiamo detto prima. Ecco, un’altra cosa che si può notare è che tu sei il bassista, seconda voce e autore dei Nomadi, se mi permetti di dirla così, sotto due Papi: Danilo Sacco prima e Cristiano Turato ora.

Sostanzialmente sì.

Che da quello che ho notato, tra l’altro, è stato anche il momento nel quale, nello stile dei Nomadi, c’è stato un vero e proprio cambio di direzione, per quanto riguarda la parte strumentale.

Sì… C’è stato uno spostamento dal folk inziale al rock, sostanzialmente, poi tanti dicono che questo cambio è stato in parte dovuto al mio ingresso nel gruppo e al mio modo di intendere la musica… In realtà, io penso che le cose nascono a livello di sinergie, presumo che quindi in quel periodo, all’interno della band, si sia manifestata le voglia di cambiare stile, tant’è che nei primi giorni del ’98, poco dopo il mio ingresso in formazione, siamo entrati in studio d’incisione e abbiamo registrato un nuovo album “Una storia da raccontare”. L’album della svolta da un punto di vista stilistico. Quindi come dicevi tu prima, una cosa che suonasse più sanguigna più rockeggiante, sempre mantenendo però, le tematiche che hanno una certa valenza, però con una base musicale più portata ad un suono più potente.

Del resto cambiava anche, almeno in parte, il pubblico che iniziava a seguire i Nomadi.

Infatti. Io ad esempio mi ero reso conto che sul finire degli anni ’90, molti giovani si erano avvicinati alla musica dei Nomadi, sostanzialmente. Vuoi perché il gruppo iniziava a diventare un’icona, vuoi perché comunque c’erano una serie di contenuti o anche per il fatto della svolta dal punto di vista musicale, ha portato un certo interessamento da parte dei giovani a seguire i Nomadi.

Le tematiche poi sono sempre molto attuali e trattano temi importanti, socialmente e culturalmente. Certo, non è più la “rivolta giovanile” degli anni ’60…

Non ci sarebbero neanche più le condizioni, dal punto di vista sociale, per trattare quei temi specifici. Ma nemmeno le condizoni per sotenerle. Del resto non siamo una boy-band, come puoi vedere dalle fotografie. (risata) Cerchiamo comunque di mantenere l’attenzione sulle tematiche sociali attuali, senza cadere nel paradosso di cantarci addosso.

Si incapperebbe anche nel rischio di diventare la macchietta di se stessi.

Giusta osservazione.

Del resto, il momento in cui i Nomadi sono nati, il ’63, era anche un momento di forti rivoluzioni sociali. Ne abbiamo anche oggi, ma le priorità sono altre.

Esatto.

Facciamo ora un passo avanti. Dal 2012, parallelamente alla tua attività con i Nomadi, senza abbandonare la Casa Madre…

Assolutamente no.

… Intraprendi un tuo percorso solista. Nascono i Manoloca.

Sostanzialemente la cosa nasce in conseguenza del fatto che in quel periodo mi occupavo anche di produzioni discografiche. Per conto della Segnali Caotici, l’etichetta dei Nomadi, avevo preso in mano alcuni progetti per i quali avevo ricevuto carta bianca su come poterli realizzare, compresa la scelta dei musicisti. Quindi avevo a disposizione lo studio e avevo scelto i musicisti sulla base delle conoscenza che avevo maturato negli anni, così che questi progetti potessero realizzarsi…

Arrivando oggi ad aver ben due dischi a firma Manoloca…

Sì, infatti, dopo che abbiamo fatto queste, chiamiamole “Produzioni in conto-terzi”, ci siamo trovati bene come gruppo, io avevo un buon cassetto di canzoni, inoltre, il senso dei Manoloca, rappresentava questi musicisti che nel progetto ci si sono buttati anima e cuore. Abbiamo così relalizzato due dischi…

Che stando alle cronache, hanno ottenuto un discreto successo…

Hanno ottenuto un discreto successo sia di critica che di pubblico.

Ho letto diverse recensioni positive a riguardo.

Abbiamo fatto una cosa che ci soddisfa al 110% . Poi è un progetto che mi rappresenta completamente, non che con i Nomadi non mi senta rappresentato intendiamoci, però in questo caso, nei Manoloca, c’è tutto me stesso dalla A alla Z.

Si tratta di un tuo progetto.

Un mio progetto ben definito, cioè questo sono io al 110%, dove tra l’altro non ho nemmeno pressioni o condizionamenti da un punto di vista di casa discografica e compagnia, io mi auto-produco e faccio in modo di essere totalmente me stesso in questa veste.

Questa è una soluzione utilizzata da molti artisti al giorno oggi. “Conosco” diverse band che preferiscono l’auto-produzione per i loro album.

In realtà, se noti, a partire, se non ricordo male dal 2011, anche i Nomadi hanno iniziato ad auto-prodursi.

Dal 2011, sì, fondazione Segnali Caotici, 2011. Fino a uel momento, a produrre gli album era ancora la Warner Music.

Infatti… Abbiamo chiuso il contratto con la Warner e abbiamo iniziato ad produrre da soli i nostri lavori… Abbiamo poi un distributore che è la Artist First… Poi noi ci stiamo anche auto-producendo anche perché, ormai, la discografia è alla canna del gas… C’è anche un discorso preciso dietro: a questo punto, secondo me, visto il nome che abbiamo, sto parlando dei Nomadi, questa soluzione porta dei vantaggi, non solo per la carriera del gruppo, se ti auto-produci e, come noi, hai anche altri artisti su cui vuoi investire, lo fai a tuo rischio senza avere una casa discografica che viene a presentarti il conto. Se poi, sono cinquant’anni che il gruppo esiste…

Tutt’ora basta dire Nomadi che sei sicuro che almeno in 3 o 4 partono a cantare le vostre canzoni.

Infatti.

Parlando della tua carriera di produttore artstico, facendo degli esempi con i nomi che ho qui segnati, ad esempio il singolo “Differenze”, realizzato per uno scopo sociale importante, altra tua caratteristica, tua e dei Nomadi…

Diciamo che è un retaggio che mi porto dietro.ancora prima di fare il musicista professionista, considerando il fatto che continuo a sentirmi un privilegiato, perché sono riuscito a fare quel che volevo fin da ragazzino… In realtà volevo fare il calciatore ma non ci sono riuscito… (risata)…

In tanti hanno questo sogno… (risata)

(risata)… Sto scherzando… Per cui, sentendomi un privilegiato, ho la possibilità, da un punto di vista lavorativo, di confrontarmi con un sacco di posti e di culture e di poter vedere di persona situazioni che non sono poi tanto allegre, così nel mio piccolo, cerco comunque, grazie anche al fatto di avere, diciamo così, un dono di natura e la fortuna di portarlo avanti, cerco di mettermi a disposizione quando certe situazioni me lo permettono sia da un punto di vista lavorativo che della realizzazioni di questo tipo di progetti. Non cose grosse, perché magari non riesco neanche a farle, però in piccoli progetti, presi, portati avanti e realizzati.

Come ad esempio il concerto organnizato nel 2013, voluto da Beppe Carletti, a favore del terremoto che ha colpito l’Emilia-Romagna.

Che è stata una cosa tremenda, che ci ha toccato in prima persona. Io sono ormai tanti anni che abito qui in provincia di Milano, ma le radici sono emiliane, i miei genitori sono emiliani, poi tutti gli amici, per cui…

Una grande iniziativa.

Poi ti posso garantire, al 110%, che nessuno ha preso una lira di quello che è stato raccolto. Quello che siamo riusciti a realizzare, tolti SIAE e compagnia, per costruire un’ala dell’ospedale di Mirandola, ala realizzata, fatta e funzionante.

Ma da quel che ricordo, non ne ha parlato mai nessuno. Ecco, l’abbiamo fatto noi adesso!!!

Fai bene a sottolinearlo, perché se si vogliono realizzare dei progetti, si può!

Sempre rimanendo nell’ambito della tua carriera di produttore. Ho potuto leggere, documentandomi, che nel 2014, la Segnali Caotici, ha prodotto il primo album solista del figlio di Pierangelo Bertoli, Alberto. Che da quel che ho visto, ricalca perfettamente l’immagine del padre, gli assomiglia in tutto e per tutto, non fosse per i capelli lunghi e la barba. Vocalmente anche.

Un ragazzo che ha, come posso dire, ha una fortuna, da un certo punto di vista, perché ha un nome “pesante”, ma può diventare pesante anche alla rovescia, secondo me, lui, è anche una persona originale, nella musica che fa, ovvio che ha delle caratteristiche vocali simili a quelle del padre, però, sempre secondo me, è una persona che si è trovata davanti più porte sbattute in faccia che aperte, perché ha sempre dovuto sostenere un confronto che probabilmente, anzi sicuramente, nemmeno lui voleva. Detto questo, per me è una persona assolutamente genuina, anche lui un fglio della Terra d’Emilia, una persona che non disdegna certo il lavoro, nel vero senso della parola, anche lui s’impegna molto nel sociale, secondo me, Alberto, è un grandissimo artista,che merita in modo particolare. Sta avendo un buon successo e il disco sta andando bene.

Adesso facciamo un piccolo passo a ritroso, ma proprio piccolo… La tua carriera di musicista è stata una tua scelta come mi hai detto, però, ho visto che c’è stata anche una solida formazione alla base di questa tua scelta. Formazione caldamente suggerita da tua madre.

La storia è proprio questa qua… Mia mamma si è accorta… Parliamo di una persona che con la musica non ha molto da spartire, mia mamma penso sia la persona più anti-musicale che conosca… Però ha notato che, praticamente, tutto ciò che mi capitava a tiro per casa, qualunque cosa, io la suonavo. Cantavo. Facevo piccoli spettacolini sul divano. Poi, rimasi folgorato, guardando in televisione, doveva essere il ’76, una replica del Concerto per il Bangladesh, io l’ho scoperto dopo cos’era e ricordo proprio un momento in cui sul palco c’erano George Harrison, Rod Stewart e Ronnie Wood, non mi ricordo il batterista, che suonavano “Get Back” dei Beatles. Da ciò che ho visto, anche se ne ho dei ricordi offuscatissimi, ero solo un bambino, sono rimasto folgorato. Sai quel momento in cui dici: “Questo è quello che voglio fare”. Mia madre ha capito subito questo desiderio che stava prendendo forma e probabilmente aveva già intravisto una certa musicalità in me. Mi ha iscritto al Conservatorio di Reggio-Emilia, ho preso il diploma in solfeggio, dopo aver fatto i primi tre anni, dopodiché arrivò il momento di scegliere lo strumento, volevano farmi praticamente suonare l’oboe, il fagotto, queste robe qua… E io, appena ho avuto la possibilità di ribellarmi, anche per questo devo ringraziare mia madre, che ha capito subito che probabilmente, lasciandomi lì, mi avrebbe tarpato le ali, invece mi ha iscritto a corsi privati, dove finalmente ho potuto scegliere io quale strumento suonare.

Questo poi è quello che, anni dopo, ti ha permesso di entrare nei Nomadi. Dove, come accennavo prima, oltre che ad esserne il bassista e seconda voce solista, ti occupi anche dei testi, altra caratteristica dove hai ottime qualità, ho letto alcuni dei tuoi testi e dimostri di aver molte freccie al tuo arco anche in questo. Altra cosa, parlando di tetsi, si vede subito come questo aspetto, oltre ad altri, abbia una certa omogeneità all’interno del gruppo, non c’è un solo autore, ma la collaborazione ai testi arriva da parte di tutto il gruppo.

Non ci sono stati imposizioni di sorta assolutamente su chi doveva occuparsi dei testi delle canzoni. Mi ricordo benissimo che al mio ingresso nel ’98, sai, sentendomi l’ultimo arrivato e sapendo che c’era in corso la produzione di un nuovo disco, io mi sono messo a disposizione subito arrivando anche a dire: “Signori, io sono qua, se avete bisogno, potete anche darmi il classico foglietto con i panini da andare a prendere.”. Lo stesso Carletti mi disse: “Guarda, noi non cerchiamo una persona che esegua gli ordini, ma una persona che possa portare delle idee. Quindi se hai qualche idea o suggerimento, buttala lì, se poi è una cazzata, siamo i primi a dirti che è una cazzata, se invece è una cosa che può funzionare ben vemga.”. Da lì è partita anche la mia storia come autore. All’epoca, prima di entrare nel gruppo avevo già scritto delle cose mie, come ti dicevo e le avevo anche fatte sentire. Sai quando ti succede, da artista, che per anni, nonostante proponi materiale, non si fa sentire nessuno e poi all’imrpovviso…

Arrivano tutti.

E in una settimana ti trovi a dover decidere per la vita. Insomma, tramite contatti comuni con il batterista dei Nomadi, all’epoca, alcune mie cose erano arrivate al suo produttore, al quale erano piaciute, ma lui stesso, mi ha detto: “Senti, se proprio devi partire, parti con i Nomadi. Parti in serie A!”.

Cambiando di nuovo discorso. Parliamo di discografia. Nel rileggere tutta la discografia dei Nomadi, ho notato, parliamo del 2007, che tra i vostri dischi, c’è un concerto molto bello e particolare, dove molti cavalli di battaglia del gruppo, canzoni dell’epoca di Augusto Daolio alla voce e molte canzoni di Guccini, già rifatte dai Nomadi, hanno subito una trasformazione. Il Concerto con la Omnia Symphony Orchestra.

Un’esprienza molto bella. L’orchestra diretta dal Maestro Bruno Santori, che abbiamo conosciuto perché ci ha accompoagnato a Sanremo nel 2006 con “Dove Si Va”.

Canzone che vi aveva permesso di vincere nella categoria GRUPPI, nell’edizione di quell’anno.

Secondo posto nella classifica generale e primo posto nella categoria gruppi. A mio parere personale, meglio così, perché altrimenti si sarebbe sollevato il classico polverone della serie “Ecco, arrivano i Nomadi a Sanremo e vincono loro.”

Rischiando di tirarmi addosso le ire e gli insulti di molti, ma visti i partecipanti delle ultime edizioni, salvo eccezioni, nonostante quella del 2006, a livello visivo, almeno per me, è stat la più scarsa in quanto a scene, la qualità era molto superiore alle recenti edizioni.

Ma questo è un parere personale.

Ma nonostante questa scelta di fare un’edizione più contenuta, dal punto di vista scenografico, per noi è stata una bella cosa,ci siamo potuti scontrare con una realtà che non era mai stata presa molto in considerazione. Anche se avevamo una parte del nostro pubblico che non era d’accordo con questa nostra scelta. Noi non volevamo partecipare per farci vedere, non avevamo bisogno di Sanremo per poter lavorare, se no c’era da spararsi se fossimo arrivati a quel punto (risata), non ci serviva, tieni conto che nel 2006, arrivammo a fare più di 140 concerti nell’arco dell’intero anno. Però ci siam detti, sono anni che ci chiamano e ci invitano ad andare, abbiamo la canzone giusta per partecipare e per raccontare la vita dei Nomadi, perché no. C’è poi un bel articolo di… ehm… aiuto… lavora per La Stampa… ora il nome mi sfugge… Tagliando corto… Nell’articolo, veniva fatta una didascalia dei vari artisti presenti alla kermesse di quell’anno, dove descriveva quelli velati da un alone di mistero, innavvicinabili, poi toccava a noi, l’articolo diceva una cosa di questo tipo: “Ecco veniamo ai Nomadi. I Nomadi hanno la faccia di quelli che girano per Sanremo domandandosi <<Ma noi che cazzo ci facciamo qui?>> e per riuscire a scovarli, devi andare, la mattina, in un campo di calcetto, se vuoi ottenere una loro intervista.” (risata). Un articolo che molti dei nostri fan avevano letto e avevano capito con quale spirito eravamo andati al Festival. Questo nasceva dal fatto, come ti dicevo prima, che non avevamo nessuna necessità di imporre nulla, ma soltanto di dire “Signori, la nostra storia è questa, se vi interessa bene se non vi interessa noi andiamo avanti lo stesso”. Per noi è stata una settimana divertente, al contrario di quelli che dicono che è una cosa snervante, faticosa…

Dipende anche da quale è lo spirito con cui ti poni in certe situazioni. Se vai ad una gara solo con la brama forsennata di vincere, ovvio che ti riduci uno straccio.

E nenache a farlo apposta abbiamo vinto nella categoria gruppi e siamo arrivati secondi nella classificale generale. Eravamo lì, la serata finale, durante le premiazioni, a guardarci come a dire “Ma noi abbiamo vinto? Siete sicuri?”.

A questo punto, è partita una discussione a pari livello di gusti e conoscenze, sull’odierno panorama musicale, i talent-show, la scarsa presenza di vere e proprie novità, canzoni fatte per essere dimenticate, gli Stadio a Sanremo, la carriera di Luciano Ligabue e la sua (insana e distruttiva) svolta nel commericale, gli Yardibirds, i Led Zeppelin, l’incapacità dei giovani d’oggi di ascoltare per intero una canzone di più di 3 minuti, ragazzi che non riuscirebbero ad ascoltare per intero una canzone dei Pink Floyd, perché la concezione di una canzone non va oltre la struttura classica strofa-ritonello, le moderne tecnologie e le tecnologie d’incisione degli anni ’60 e ’70, artisti geniali che avevano lo sguardo proiettato nel futuro, analisi approfondite, considerazioni personali, gruppi emergenti, qualche risata e nuove leve che hanno bisogno di essere prese in considerazione. Generazioni a confronto. “Impressioni di Settembre”, PFM, in sottofondo. Pirateria ante-litteram, fatta da cassette e vinili. Album fondamenali per la storia della musica. La musica nel sociale, lotte cancellate. Dibattiti di pubblica piazza. Il marketing, il lavoro del musicista. Quella che pareva essere partita come un’intervista classica, anche se da quel che leggete non lo è proprio, si era trasformata in una chiacchierata cultural-musicale. Poi, dopo qualche minuto, si è tornati a parlare dei Nomadi e del loro successo, tra canzoni impegnate, Guccini e canzoni d’amore… Canzoni ancora attuali, vive e pulsanti.

Avrei voluto riportare ogni singola parola di ciò che vi ho raccontato in queste ultime righe, ma lo spazio a disposizione per questo pezzo stava diventando esageratamente corposo, piacevolemente lungo, ma purtroppo non trascrivibile nella sua interezza. Resto ad ascoltare le ultime battute che ho scambiato con Massimo Vecchi, mentre in sottofondo, si sente “The Final Countdown” degli Europe. La chiusura perfetta.

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