La gente pensa che per vivere una vita rock’n’roll bisogna per forza avere una chitarra elettrica a tracolla. E invece no, per vivere una vita rock’n’roll bisogna essere veri, bisogna essere se stessi senza compromessi. Non importa se sei uno spazzino o se sei cassiere, l’importante è vivere secondo i tuoi codici”. Paul Stanley ha le idee chiare. E come potrebbe non averle, lui che da quarant’anni vive il rock’n’roll nella maniera più spettacolare, colorata, rumorosa, con i Kiss. Certo, a sessant’anni andare in scena con la faccia dipinta non è la stessa cosa che farlo a venti o trenta… “Ma no – dice Stanley – il trucco non è che una parte del gioco. Abbiamo scelto un look forte perché non volevamo che il pubblico fosse distratto da quello che eravamo fuori dal palco, non volevamo una doppia personalità come Clark Kent e Superman.
“L’idea era quella di mettere davanti a tutto la personalità, l’identità e il credo dei membri dei Kiss, perché era più forte di quello che eravamo fuori dal palco. Non siamo mai stati dei musicisti mascherati, il nostro cuore non era nel trucco che avevamo in faccia, cercavamo semplicemente di essere davvero quello che sentivamo di essere. Noi non ci vestiamo e trucchiamo per sembrare diversi, ma abbiamo cercato vestiti e make up che ci aiutassero a mostrare alla gente quello che eravamo davvero. Essere i Kiss significa essere noi stessi, altro che trucchi o chitarre o lustrini! Ti puoi vestire e truccare come noi e non essere come noi. O ti puoi vestire da bancario ed essere davvero un uomo del rock’n’roll, l’importante è essere se stessi”.
Stanley è sulle scene con Gene Simmons da quando aveva poco più di venti anni. All’epoca, all’alba degli anni Settanta, era più facile di oggi imporre uno stile di vita rock’n’roll, molte cose erano nuove, il trucco, i suoni, i lustrini, ma anche il sesso, gli eccessi, tutto quello che è scritto nel “manuale della perfetta rockstar”. Oggi, nel pieno dell’era digitale, in cui tutto sembra già stato fatto e scritto, forse è più complicato per un signore di sessant’anni vivere una vita rock’n’roll. “Fino a un certo punto”, dice lui. “Io sono molto fortunato a fare la vita che faccio e per questo ho scelto di sfruttare tutti i doni che ho ricevuto per essere la persona che volevo essere. Alla fine della giornata il pubblico va via, i giornalisti non sono più in giro, devi guardarti allo specchio e chiederti se ti piace quello che hai fatto, se hai aiutato qualcuno, se sei stato gentile. Mi piace pensare che siano queste le cose che mi hanno spinto ad andare avanti. È difficile vivere la vita che vivo? No, ma è molto soddisfacente, qualche volta devo fare fatica per alcune cose, altre volte no, ma credo che l’importante sia saper restituire quello che si è ricevuto. Quando il successo ti ha sorriso per così tanto tempo, restituire quello che si è ricevuto non è un opzione, è un obbligo. Sono contento di avere una magnifica moglie e quattro splendidi figli, e credo di essere un buon padre e marito”.
Un padre e un marito rock’n’roll? “Sì, perché essere rock’n’roll non vuol dire avere i tatuaggi sulle braccia o la bandana in testa o portare gli orecchini, ma essere libero. Puoi vivere una vita rock’n’roll anche se sei un dottore o uno spazzino. Per me ha sempre significato non ascoltare le critiche, non ascoltare i tuoi contemporanei, seguire il cuore e le passioni. E questo è possibile per tutti, davvero”.
Buon padre? Marito esemplare? Ma come, il “rock lifestyle” non era fatto seguendo le tre parole d’oro: sesso, droga e rock’n’roll? Non era una strada lastricata di peccato, eccessi, disordine? “No, quello che la gente vuole credere è che il rock’n’roll lifestyle debba essere stupido e distruttivo. Mutilare il tuo corpo, avvelenare la tua mente in nome del rock’n’roll è comunque stupido. Il rock, invece, ti spinge ad avere il meglio della vita, non a togliere quello che c’è di buono. Se mi sento responsabile? La mia responsabilità è di essere fedele a me stesso, che gli altri pensino quello che vogliono! Io devo dire alla gente quello che sento e non mentire. Io non chiedo a nessuno di vivere una vita come la mia, ma credo di essere un buon esempio di quello che si può raggiungere credendo in se stessi e lavorando sodo”. Ne è convinto anche Gene Simmons, l’altro fondatore della band: “C’è uno stile di vita rock’n’roll intelligente e un rock’n’roll lyfestyle stupido. Di quello intelligente non se ne parla mai, mentre l’altro è sempre sembrato molto fico, molto “cool”. Ma alla fine le rockstar più cool del mondo sono tutte morte. Magari erano fichissimi, ma sono morti. Jimi Hendrix è morto, Jim Morrison è morto, Kurt Cobain è morto… Io sono furbo e sopravviverò a tutti perché vivo una “smart rock’n’roll life”, non ho mai preso droghe per una scelta personale, non sono interessato a farmi del male. Se vuoi correre una lunga maratona non andare al massimo, via alla tua velocità, non importa se c’è qualcuno che ti supera, alla fine chi vince è la tartaruga. E anche le tartarughe conoscono il rock’n’roll”.
Non deve meravigliare, allora, vedere Paul Stanley e Gene Simmons, con tanto di trucco sul volto, camminare sulla passerella, con abiti elegantissimi, per presentare l’ultima collezione di John Varvatos, com’è accaduto a Milano qualche settimana fa. Anche questo è rock’n’roll lifestyle. Soprattutto se, come nel caso dei Kiss, il look è parte integrante della vicenda artistica. I Kiss senza il trucco non sarebbero stati gli stessi, è vero, ma è la musica, il rock, il motore della loro storia. “La musica è la cosa importante, non il resto”, conferma Stanley, “quando ero piccolo volevo suonare, non volevo fare altro, era la mia passione, mi spingeva a fare ogni cosa. Ognuno dovrebbe avere la possibilità di trovare una cosa che possa spingere emozionalmente la propria vita, che sia l’arte, la gente, il design, qualsiasi cosa. Per me la passione era la musica, nella mia famiglia tutti cantavano, i miei genitori mi portavano nei musei nei weekend, al MoMa, al Guggenheim, andavamo all’opera, mi facevano ascoltare Puccini, Verdi, La Tosca, La Bohème, l’Aida, l’idea era che io conoscessi tutta l’arte possibile per cercare qualcosa che mi appassionasse, mi coinvolgesse. E io trovai la musica. E soprattutto trovai altri con cui condividere questa passione, la band. La vita è un gioco di squadra, otteniamo di più quando facciamo le cose con gli altri, è più facile trovare il supporto quando sei in una band. Ovvio si moltiplicano anche le difficoltà e stare insieme con personalità forti non è mai semplice. Come abbiamo fatto noi? Ovvio, quando non andavamo d’accordo con qualcuno lo cacciavamo via. Se le cose non vanno devi cambiare partner. Io sono dell’idea che se c’è qualcuno che sta affogando, la cosa importante è gettarmi e andarlo a salvare, ma se questo qualcuno cerca di affogarmi, la cosa importante è lasciarlo andare”.
Gli Stones, gli Who, i Kiss, ogni anno ci troviamo a festeggiare qualche anniversario di rock band nate decine di anni fa, invecchiate sui palcoscenici, ma ancora in grado di richiamare folle oceaniche in nome del rock. Signori di sessanta, spesso settant’anni, saltano ancora sul palco come facevano molto tempo addietro, con le loro chitarre elettriche, i capelli più lunghi del normale, gli occhi bistrati. Cosa ha reso il rock un genere così duraturo, perché il rock’n’roll lifestyle non è andato in pensione? “Perché ha a che vedere con l’individuo e con la vita”, dicono i Kiss, “Tutti gli altri generi sono buoni, ma solo il rock’n’roll è diventato di riferimento per la politica, per la moda, per la cultura, per il linguaggio. Basta pensare a Bill Clinton, viene definito una rock star, non con un altro nome. E quando i passeggeri del volo United 93 hanno voluto colpire i terroristi dell’11 settembre e impedire un altro attentato hanno detto “let’s rock”. La ragione è che il rock è individualità, non c’è una sola band o un solo personaggio che assomigli a qualcun altro. Io adoro la musica della Motown, ma gli artisti erano prodotti in serie, mi piace il rap ma i rapper si assomiglianotutti. Nel rock’n’roll se apri il libro vedi che in ogni pagina c’è un tipo di individualità diversa. E questo rappresenta la condizione umana, l’essere ribelle. Nelle democrazie la parola più potente che tu possa usare è “io”, le dittature la odiano, come in Iran, perché significa io penso con la mia testa, io faccio quello che amo, io posso decidere. Questo è rock’n’roll”.
Repubblica.it